Con la vittoria franchista del 28 marzo 1939 migliaia di spagnoli direttamente o indirettamente coinvolti nella creazione della Seconda Repubblica – la Niña, come venne chiamata – furono costretti, dopo tre anni di guerra civile, a prendere la via dell’esilio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, basti ricordare il notissimo episodio del Winnypeg, la nave che grazie all’operazione umanitaria organizzata da un giovane Neruda – allora diplomatico con incarichi consolari tra Francia e Spagna – il 3 settembre 1939 arrivava nella città cilena di Valparaíso con a bordo oltre duemila spagnoli rifugiatisi in Francia dopo la sconfitta repubblicana.
Il numero definitivo di quell’esodo non ha trovato concordi gli storici anche a causa delle ondate migratorie che si erano succedute sin dal ’36 e di cui furono protagonisti membri di entrambi i settori in lotta: repubblicani e monarchici, sinistra e destra. Le vittorie dell’una o dell’altra parte videro, alternativamente, il ritorno di alcuni e la fuga di altri. Non è dunque possibile fornire un dato preciso ma gli storici sono generalmente concordi nel parlare di oltre cinquecentomila cittadini spagnoli che, nel 1939, erano dispersi per il mondo. La prima meta di quel fiume di derrotados – gli sconfitti – fu la Francia, che li accolse spesso in campi di internamento come quelli di Gurs, Saint-Cyprien, Argelès-sur-Mer, per citarne alcuni. Solo pochi Paesi furono disposti ad accettare di buon grado gli spagnoli ormai senza patria sia per timore della loro reputazione di rojos, sia per il loro numero elevato che si temeva potesse creare squilibri politici nelle nazioni ospitanti.
Tra questi si distinse il Messico. Il Presidente Lázaro Cárdenas, che nel 1937 aveva dato asilo a Lev Trockij, accolse, al principio, quattrocentocinquantasei minori spagnoli orfani di guerra e di combattenti repubblicani, noti come Niños de Morelia, e, nel ’39, si dimostrò altrettanto disponibile ad aprire le frontiere a circa quarantamila nuovi esuli. Altri Paesi del centro e sud America, pur contenendo il numero, furono disposti a dare ospitalità agli spagnoli in fuga, talvolta preferendo specifiche categorie di lavoratori o accettando i repubblicani semplicemente perché avrebbero “sbiancato la razza”, come accadde, per esempio, a Santo Domingo durante la presidenza di Trujillo. In Europa, a causa degli eventi bellici, restarono solamente i pochi esuli che non disponevano dei mezzi per andare altrove oppure avevano trovato posto nella società di arrivo, come nel caso dello scrittore Arturo Barea, che con la seconda moglie, Ilse Kulcsar, si rifugiò in Gran Bretagna dove lavorò per anni nella BBC.
Solo a partire dal secondo dopoguerra e soprattutto dalla metà degli anni ’50, gli esuli tornarono in Europa per avvicinarsi alla patria e sperare in un ritorno che per alcuni non sarebbe mai avvenuto, per altri solo in tarda età, dopo la morte di Francisco Franco, nel fatidico 1975.
Il mosaico dell’esilio repubblicano spagnolo è costituito di circostanze e personalità assai differenti: alcuni si inserirono in maniera fruttuosa nel Paese che li aveva accolti tanto da prenderne la cittadinanza – come accadde al filosofo José Gaos, che forgiò la figura e il termine transterrado e fondò una scuola di pensiero in Messico – altri vagarono tra America ed Europa senza mai appartenere a nessun luogo o addirittura costruendo sulla categoria dell’esule una metafisica, come leggiamo nell’opera di María Zambrano.
Tuttavia quelle migliaia di esuli, in maggioranza appartenenti alla classe colta vicina alla Repubblica (professori, giornalisti, politici, medici, artisti, maestri) entrarono in contatto con la società dei Paesi di accoglienza e contribuirono largamente alla costruzione delle sue istituzioni lasciando contemporaneamente un importante vuoto nel Paese d’origine. Successivamente, i lunghi anni della dittatura, prima, e il “patto del silenzio” – la politica che caratterizzò la Transizione democratica – poi, rappresentarono una vera ed efficace obliterazione del passato repubblicano e degli anni della Guerra Civile con la conseguente cancellazione di migliaia di esuli repubblicani, della loro storia e del loro apporto culturale dalla storia spagnola. Solo a partire dall’ultimo scorcio del secolo scorso – per una fitta trama di eventi storico-politici, economici e socio-culturali – nella letteratura spagnola trova spazio la narrativizzazione di quella tappa bellica e dittatoriale. Si affacciano allora molteplici opere letterarie, poetiche e saggistiche, stampate o ristampate nella penisola in una riscoperta degli eventi vicini ma rimossi. Sono opere, spesso di struttura innovativa, con cui gli autori hanno inteso problematizzare la memoria, storica e individuale, palesarne i meccanismi e metterne in discussione procedure e finalità. Basta pensare a scrittori come Javier Cercas, Isaac Rosa, Antonio Muñoz Molina, Almudena Grandes, per fornirne solo un ridottissimo saggio. Questi intellettuali, e i molti che si sono aggiunti negli anni che ci separano dalla fine del ’900, hanno intrapreso il recupero della memoria, a tratti anche con risultati controversi.
Guardando a questo panorama vasto e diversificato, a ottant’anni dalla diaspora è sorto il desiderio di porre l’accento sull’inserimento degli esuli repubblicani spagnoli nelle società di arrivo guardando alla loro attività artistico-intellettuale .
Da anni ormai, il contributo e l’opera degli esuli repubblicani è oggetto di studio in Spagna e non solo; capofila in questo campo è il Grupo de estudios del exilio literario (GEXEL) – nato al principio degli anni ’90 e diretto da Manuel Aznar Soler (Universitat Autònoma de Barcelona) – dei cui membri il numero accoglie alcuni contributi. Senza l’ambizione di esaurire un tema tanto ampio quanto variegato, gli autori qui riuniti focalizzano i loro studi sul rapporto degli esuli spagnoli con i Paesi che li accolsero. Particolare attenzione è dedicata ad alcuni scrittori che in Italia trovarono un Paese prossimo al proprio da cui trarre ispirazione. È il caso del pittore e scrittore Ramón Gaya che scopre a Venezia, quella che chiama «la ciudad de la pintura», l’essenza della propria arte, come scrive Elide Pittarello. Dopo tredici anni in Messico il pittore trova in Italia e nella città lagunare il luogo più idoneo in cui lavorare e non a caso il suo primo libro, El sentimiento de la pintura, nascerà proprio nel nostro Paese. Un altro esempio di intellettuale che trarrà ispirazione dall’Italia, in questo caso dalla città partenopea, è il poeta e scrittore Luis Amado Blanco, peculiare tipo di esiliato spagnolo che, acquisita la cittadinanza cubana, diverrà ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede. Alla città di Napoli Amado Blanco dedica la raccolta poetica Tardío Nápoles cui rivolge il proprio studio José Ramón López García. Sulla permanenza in Italia di un altro esule, il poeta vallisoletano Jorge Guillén, si sofferma Laura Mariateresa Durante che, da un lato, analizza alcune poesie dal contenuto connesso con i temi italiani e, dall’altro, si concentra sulla rinnovata frequentazione di altri esuli spagnoli, come Ramón Gaya e María Zambrano, indotta dall’esilio italiano. Alla filosofa è dedicato il saggio di Anna Maria Pezzella che ne approfondisce la permanenza italiana illustrando gli interessi e le passioni intellettuali che avvicinarono l’allieva di Ortega y Gasset alla figlia maggiore di Benedetto Croce, Elena. Sull’esule spagnolo più noto riparato in Italia, Rafael Alberti, e sulla raccolta poetica dedicata alla capitale, Roma, peligro para caminantes, si focalizza l’intervento di Míryam Vílchez Ruiz, che rilegge i versi dedicati a Roma dal poeta gaditano analizzandone le suggestioni di carattere religioso. Per completare il quadro d’insieme dell’esilio spagnolo in Italia, Giuseppina Notaro prende in esame l’opera di María Teresa León – compagna di Alberti, da questi spesso messa in ombra – e affronta il tema della memoria e dell’autobiografismo scaturiti dall’esilio italiano dell’autrice.
Tra gli esiliati politici della Spagna di Franco solo alcuni poterono riparare negli Stati Uniti d’America, tra questi i poeti Pedro Salinas e Jorge Guillén e il giurista, sociologo e traduttore Francisco Ayala. A quest’ultimo e ai suoi rapporti con la classe intellettuale spagnola è dedicato il saggio di Alessio Piras dove, basandosi sugli epistolari e sull’opera autobiografica Memorias y olvidos, lo studioso ricostruisce le relazioni di Ayala con il mondo intellettuale statunitense, e non solo, negli anni dell’esilio.
María de Maeztu, pedagogista e sorella del più noto Ramiro – intellettuale che nel 1936 venne fucilato a causa delle sue idee di destra – è oggetto dello studio di Alessia Cassani che ce ne consegna un ritratto vivido introducendoci nel mondo di quanti, pur manifestando una salda fede nella Seconda Repubblica, scelsero una posizione defilata e quasi conflittuale poiché avevano sperimentato i rigori delle scelte politiche repubblicane.
Tra i Paesi che accolsero gli esuli spagnoli si annovera l’Unione Sovietica che aprì le porte a un numero considerevole di piccoli orfani, a militanti e simpatizzanti del partito ma che diede ospitalità anche a maestri e pedagogisti spagnoli, di cui Anna Pavlovna Fernandez-Eres ricostruisce l’esperienza in rapporto al sistema pedagogico sovietico.
A conclusione della panoramica sull’esilio interviene Goretti Ramírez che si occupa della seconda generazione di esuli in Messico. Attraverso l’analisi del poema La sal en el rostro di Angelina Muñiz-Huberman, la saggista propone una lettura del rapporto tra la nuova patria, in cui i genitori della poetessa giunsero in fuga, e quella d’origine, raccontata come un mito, ed evidenzia il senso di sradicamento sperimentato dall’autrice messicana.
Se è vero che la categoria di esule marchiò in maniera indelebile la vita di coloro che sfuggirono al colpo di stato e alla vittoria franchista e cambiò rotta alle loro vite perché, secondo quanto scrisse Zambrano, «dall’esilio non si può tornare», è altrettanto vero che la migrazione mutò il volto dei Paesi toccati, ne arricchì la cultura e ne innovò l’aspetto in maniera profonda. Là dove lo spagnolo era guardato come erede del conquistatore o dell’emigrante arricchito, portò la cultura della Edad de Plata cresciuta all’ombra della Seconda Repubblica, nelle Università nordamericane contribuì al sorgere e alla diffusione di studi di ispanistica, mentre in Europa – e in Italia in particolare – favorì l’amalgama con una civiltà tanto vicina quanto diversa. «trame di letteratura comparata» propone un tema della storia recente in cui non è difficile leggere il valore dell’ibridazione culturale, anticipazione delle migrazioni che oggi stiamo vivendo.
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