RAISSA RASKINA - Premessa
Proviamo allora: un’immensa virata
maldestra, scricchiolante.
La terra naviga. Uomini coraggio!
Fendendo l’oceano con vomere di aratro
per ricordare anche sul Lete gelido
che dieci cieli a noi costò la terra .
Grandiosa e sommessa a un tempo, l’immagine della virata «maldestra, scricchiolante» di una nave che fende l’oceano della storia servì al poeta Osip Mandel’štam per celebrare, a modo suo, la rivoluzione dell’Ottobre 1917. Comunque si giudichi quell’evento storico, i sei versi di Mandel’štam ne condensano i tratti essenziali: l’imponenza di un fenomeno sociale, ma anche etico ed emotivo, che tracciò una incancellabile linea divisoria tra “prima” e “dopo”; la natura sperimentale della rivoluzione, concepita dai suoi protagonisti come una prova generale o un’avventura dall’esito tutt’altro che scontato («proviamo, allora»); la severa virilità della linea di condotta quotidiana; l’enormità dei sacrifici che l’«immensa virata» comportò.
A distanza di cento anni dall’Ottobre, nel 2017, eravamo in molti a sentire il desiderio, ma anche la necessità, di pensare daccapo quella rottura epocale che sconvolse non solo la Russia, ma il mondo intero, ridefinendone le coordinate politiche, sociali, culturali. Abbiamo così organizzato, all’Università di Cassino, un convegno titolato I linguaggi della rivoluzione. L’impatto dell’Ottobre 1917 sulla letteratura, le arti e le scienze umane (24-25 ottobre 2017). La parte monografica di questo volume di Trame di letteratura comparata (sezioni “La voce”, “Dimore”, “Caleidoscopio”) raccoglie i contributi a quel convegno, offerti da autori quanto mai diversi tra loro, com’è giusto che sia allorché in questione è uno spartiacque storico.
Mettiamo subito in chiaro ciò che non volevamo. Non era nostra intenzione avviare un’indagine storico-politica sulle peripezie della Rivoluzione russa strettamente intesa. Non perché sottovalutassimo i fatti che ebbero luogo tra febbraio e ottobre del 1917, tutt’altro: quei mesi restano ancora oggi un vero e proprio segno di contraddizione, un oggetto meritevole di ricerche rigorose e appassionate. Per non parlare delle vicende che seguirono alla presa del Palazzo d’Inverno: la guerra civile, il consolidamento della dittatura del proletariato, il passaggio dal comunismo di guerra alla Nuova politica economica, il crescente predominio del Partito, la morte di Lenin, l’ascesa di Stalin, l’esilio di Trockij. A noi interessava, però, mettere a fuoco i fenomeni in cui i diversi ambiti dell’esperienza – politica e cultura, sensibilità estetica e vita quotidiana, biografie ed eventi collettivi – si ibridano fino a risultare inseparabili. Ci è sembrato quindi più produttivo adottare su quegli eventi storici un punto di vista meno diretto, interrogandoci su influenze, echi, effetti che ebbe la rivoluzione – in Russia come in Occidente – nelle arti, negli usi linguistici, nelle scienze umane. Non per scansare il nocciolo duro della questione, ma per averne una conoscenza più ricca e articolata.
Allo stesso tempo, però, non intendevamo ridurre l’Ottobre e la guerra civile a propellente o involontaria fucina delle avanguardie intellettuali e artistiche degli anni Venti. Splendori e miserie del paesaggio post-rivoluzionario, poesie e film memorabili, dovevano mostrare il loro rapporto, a volte di schietta ostilità, con la rivoluzione, anziché essere esaminati come meri episodi culturali della prima metà del Novecento.
Scartate queste due possibilità, entrambe riduttive, ce ne rimaneva una soltanto, non poco promettente: considerare la rivoluzione alla stregua di un «fatto sociale totale», per dirla con l’antropologo Marcel Mauss. Di un fatto, cioè, che coinvolge l’intero funzionamento di una comunità. Di un fatto all’interno del quale convivono mutamento delle mentalità e organizzazione del sistema scolastico, riti e miti, poemi e bilanci economici, biologia e teatro che trae ispirazione dall’organizzazione fordista della fabbrica. Al di là dell’entusiasmo, della curiosità, dello scetticismo o della totale esecrazione che la presa del potere da parte dei bolscevichi ha suscitato nei singoli pensatori e artisti, nessuno si poteva dire davvero immune all’influsso di questo «fatto sociale totale». La trasformazione repentina delle forme di vita, l’avvento di un tempo nuovo, la percezione di possibilità inedite (salvifiche o spaventose che fossero), coinvolse favorevoli e contrari, scettici e accalorati. Anche i controrivoluzionari furono intrisi dei giorni e delle opere della rivoluzione, esposti a un tempo che trasfigurava il senso di ogni cosa.
La nostra scommessa è stata, dunque, quella di individuare un cortocircuito, ovvero una relazione simbiotica, tra il brusco cambiamento del paradigma politico-sociale e le innovazioni, gli slittamenti, le alternative che si registrarono sul piano formale nelle arti, sul piano concettuale nelle scienze umane, ma anche nell’ambito della prassi linguistica e dei valori morali. Rilevante non ci è sembrata la reazione ideologica di artisti e pensatori alla presa del Palazzo d’Inverno, ma il modo in cui la rottura epocale dell’Ottobre ha inciso sulla grammatica dei testi letterari, dei film, degli spettacoli teatrali, nonché sui metodi di ricerca in filosofia, estetica, filologia, linguistica, antropologia. Il criterio adottato può essere riassunto così: privilegiare le opere e le idee che non sarebbero state possibili senza l’Ottobre. Poiché gli effetti del sommovimento rivoluzionario si sono registrati ben al di là dei confini russi, non stupirà che qui si parli anche di ciò che accadde in Italia, Germania, Inghilterra, Ungheria e negli Stati Uniti (sezione “Caleidoscopio”).
Torniamo infine a Mandel’štam, autore che certamente non può essere sospettato di una incondizionata simpatia per il bolscevismo, né tanto meno tacciato di ipocrisia. Nel 1928, egli scrisse: «La Rivoluzione d’ottobre non ha potuto fare a meno di esercitare un’influenza sul mio lavoro, poiché mi ha tolto la “biografia”, la sensazione dell’importanza personale. Le sono grato per aver posto fine una volta per sempre all’agiatezza spirituale e al vivere di rendita culturale» . Senza dubbio, l’esproprio di molte quiete certezze, operato dalla rivoluzione, ha spalancato le porte – per una decina d’anni almeno, ma anche in seguito – a una tormentata innovazione artistica e intellettuale, della quale noi siamo, spesso, gli eredi inconsapevoli.
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