Le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali sono state insediate in data 1° aprile 1996 con il decreto del Ministro delle finanze 26 gennaio 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 1996. Dopo più di venti anni è arrivato il momento di modificare radicalmente le suddette Commissioni Tributarie affidando la giustizia tributaria a una magistratura specialistica e autonoma.
La riforma delle Commissioni Tributarie è un’esigenza sentita sia dai contribuenti che dalle categorie professionali, tenuto conto della delicatezza del ruolo svolto e delle particolari questioni che vengono trattate, che impongono e richiedono una categoria di giudici tributari professionali, ben pagati, indipendenti (anche all’apparenza) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e competenti a decidere le delicate e difficili questioni tributarie.
Solo in questo modo la giustizia tributaria oltre che essere può “apparire” terza ed imparziale, rispettando scrupolosamente il dettato costituzionale.
Ed invero, una più elevata professionalità dei giudici tributari di merito appare in grado di rendere più “resistibili” le relative sentenze e ridurre ragionevolmente l’accesso alla fase di legittimità della Corte di Cassazione, con conseguente ricaduta virtuosa sui tempi della giustizia tributaria (Italia Oggi di mercoledì 20 giugno 2018). È necessario, infatti, uscire dall’ambiguità di fondo di una magistratura costituita da soggetti già impegnati in una diversa attività professionale, così da mantenere una sorta di giudice dopolavorista a cottimo la cui figura risulta irrimediabilmente pregiudicata da un sistema che non può ancora funzionare a lungo. Le Commissioni tributarie decidono su questioni di grande rilevanza economica, che richiedono elevata professionalità e specializzazione nella materia tributaria, ma soprattutto si avverte la necessità di un giudice dedicato a tempo pieno, che possa tutelare i diritti dei cittadini-contribuenti e garantire un corretto utilizzo della leva fiscale che risponda ai criteri di una moderna economia.
Del resto, anche le principali Carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di “accesso alla giustizia”, affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice – lato sensu – “competente” secondo le leggi nazionali (cfr., ad esempio, l’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso ai competenti tribunali nazionali [...]»; l’art. 14, prf. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881: «Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge [...]»; l’art. 6, prf. 1, della CEDU: «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza [...] davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge [...]»; l’art. 47, prf. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente [...] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».
In particolare, il citato art. 6, comma 1, della CEDU testualmente dispone:
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.
La clausola del giusto processo è comunque applicabile a tutti i processi tributari nei quali si contestano sanzioni sia penali che amministrative (Corte CEDU, sentenza del 23 novembre 2006, Jussila contro Finlandia).
Ferma, dunque, la garanzia della precostituzione per legge di qualsiasi giudice rispetto alla singola regiudicanda, l’utilizzazione, in sede internazionale, del generico termine “competente” dipende dall’ovvia considerazione che l’ordinamento giurisdizionale degli Stati contraenti può differire, tra l’altro, anche a seconda che sia stabilito un sistema di organizzazione della giustizia “monistico” ovvero “pluralistico” come certamente in Italia . Un sistema di reclutamento che ponga l’accento sulla preparazione professionale dei giudici tributari, sulla loro vocazione effettiva di tale funzione, nonché sul superamento del carattere puramente onorario di tale settore della Giustizia, cui non può essere estraneo un conseguente e dignitoso riconoscimento economico (si consideri che, ad oggi, il compenso dei giudici ammonta ad euro quindici nette a sentenza depositata, indipendentemente dal valore della causa e sospensive non retribuite) che può senz’altro contribuire a rafforzare il sentimento di identificazione del componente della Commissione Tributaria con la Giurisdizione, il senso di appartenenza al sistema – Giustizia, e renderlo più insensibile ad indebite pressioni esterne. In definitiva, si deve rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente, garantendo la terzietà dell’organo giudicante.
Strettamente connesso con i principi di professionalità, terzietà ed indipendenza è la previsione di un trattamento economico adeguato che costituisce requisito di indipendenza del giudice (Corte Costituzionale n. 223 dell’08/10/2012). Qualche perplessità viene avanzata in proposito quanto allo status del giudice tributario italiano, attesa l’entità dei relativi compensi, ed essa è aggravata dal fatto che il relativo compenso viene determinato da parte del MEF (nell’ambito del quale orbitano le Agenzie delle Entrate che emettono i provvedimenti sottoposti al controllo degli stessi giudici) e, addirittura, liquidato dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, che è la principale autorità sottoposta al controllo della giurisdizione tributaria (art. 13 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992 e successive modifiche ed integrazioni).
A tal proposito, si cita la recente ordinanza del 04 aprile 2018 della CTP di Novara – Sezione 1 – che ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale con il seguente dispositivo: «La Commissione, letto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992, in riferimento agli artt. 101 e 111 Cost. e, per il tramite dell’art. 117 Cost., art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo, al fine rimediare al difetto di apparenza di indipendenza c.d. ordinamentale del giudice ovvero di evitare che venga adottata una decisione che, per effetto della sua adozione da parte di un giudice non apparentemente indipendente per violazione della clausola del giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost. e 6 Cedu, sia nulla per difetto di costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.) e, comunque, fonte di responsabilità dello Stato italiano per violazione dei diritti fondamentali dell’uomo» (articolo di Andrea Taglioni, in Il Sole 24 Ore di giovedì 30 agosto 2018).
Questi sono i recenti approdi di una lunga battaglia per una riforma della giustizia tributaria, portata avanti con estrema fermezza e tenacia dall’Avv. Maurizio Villani che negli ultimi venticinque anni ha sollecitato con più di 250 interventi (tra convegni; 66 corsi; 46 seminari di studio; 23 videoconferenze e 35 libri), oltre a centinaia di articoli sull’argomento (si rinvia all’articolo “Richiesta al nuovo Governo: riforma della giustizia tributaria” pubblicato il 12 giugno 2018 dal Commercialista Telematico).
Ormai è arrivato il momento indifferibile di smantellare totalmente le attuali Commissioni tributarie e creare giudici tributari a tempo pieno non più dipendenti dal Ministero dell’economia e delle finanze, ma dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
In definitiva, si deve creare una magistratura autonoma specializzata – che non è straordinaria né speciale, per rispettare l’art. 102, secondo comma, della Costituzione –, diversa dalla magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e militare.
È questa la direzione da intraprendere per attuare una effettiva ed equa giustizia tributaria che, unitamente all’inserimento della prova testimoniale nel nuovo processo tributario e del giuramento davanti a giudice terzo, imparziale, professionale ed altamente qualificato a seguito del superamento del concorso per esame, permetterà al contribuente di difendersi senza alcuna limitazione e senza alcun condizionamento. Potrà, così, effettivamente realizzarsi quella “parità delle armi” tra contribuente e fisco, concetto spesso denunciato ma mai seriamente ed efficacemente applicato (nonostante i solleciti della Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2000 e della Corte di Cassazione con le sentenze n. 5018/2015, n. 11785/2010, n. 20028/2011 e n. 8987/2013).
A questo punto, si ritiene opportuno riportare quanto scritto efficacemente dal Prof. Franco Gallo: “A costo di essere ripetitivo, devo dire che dopo tanti anni sono arrivato alla conclusione cui erano giunti nel passato i maestri miei e di molti di voi, Gian Antonio Micheli, Enrico Allorio ed Enzo Capaccioli, e cioè che la direzione verso la quale muoversi dovrebbe compendiarsi nelle seguenti due richieste da rivolgere al legislatore. Da una parte, la richiesta di un’attuazione rigorosa dei principi di indipendenza, terzietà e imparzialità che consenta di mantenere una giurisdizione speciale dove conti più il diritto che la tecnica e dove i componenti delle Commissioni siano a tempo pieno e abbiano una specifica competenza e preparazione professionale e i difensori siano all’altezza del loro delicato compito a livello sia tecnico che delle specifiche regole deontologiche. Dall’altra, la richiesta di realizzare una più attenta disciplina del contraddittorio e, in particolare, del regime delle prove ammesse e della tutela cautelare, che riduca gli spazi della c.d. “tutela differenziata” e consenta una migliore comparabilità dei diversi istituti processuali. Il tutto, avendo di mira appunto l’obiettivo finale di un diritto processuale comune” .
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