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Testo Briguglio |
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Ai futuri colleghi
Fare il presidente della sessione romana di esami di avvocato: esperienza complessa, formativa (per il presidente), doverosa, sentimentalmente sofferta, ottimisticamente vissuta con la speranza di trasfondere ottimismo.
Mi trovo davanti due enormi aule della Fiera di Roma, ordinate e tutto sommato comode e funzionalmente ben allestite rispetto a tante altre sedi (merito dell’inappuntabile personale addetto, in tutte le sue componenti, al comando dell’impareggiabile dott. Strinati, dirigente della Corte d’Appello e modello di burocrazia intelligente, elastica ed anti-burocratica, quella che al 90% manca in Italia). Le due aule sono gremite da voi tutti, stremati dalla attesa, dalla emozione e dalla angoscia.
Il primo pensiero è … che non sosterrei di nuovo questa prova (oltretutto ai miei tempi più semplice e meno aleatoria) neanche per tutto l’oro del mondo. Come in tanti altri contesti: davvero non invidio i vostri venticinque, ventisei o ventisette anni.
Il secondo pensiero è che però la vostra energia è infinitamente superiore alla mia attuale. E dunque debbo essere ottimista per voi e con voi. Ed anche la vostra intelligenza è fatalmente più pronta, per insuperabili ragioni fisiologiche. Vi manca tantissimo di esperienza e di self control, e molto ancora vi manca di cultura giuridica davvero meditata e digerita negli anni, quella che consente di andare subito al sodo del problema senza fronzoli e senza dispersioni in mille rivoli, proprio ciò che vi ci vorrebbe qui ed oggi. Ma in fin dei conti è solo questione di tempi: avete solo necessità di ragionare un po’ di più di quanto non farebbe un giurista della mia età, e con calma. Le questioni ed i problemi sono tutt’altro che insormontabili; scrivete il giusto; tenete un profilo non dico basso ma medio evitando (perfino chi sarebbe in condizioni di permetterselo) lo sfoggio di argomenti e sofisticherie che potrebbero non essere alla portata di chi vi correggerà o non essere compresi per vostra frettolosità di espressione; conservatevi un bel po' di tempo per rileggere, affinare l’italiano, aggiungere un buon numero di virgole (che non bastano mai), scindere qualche periodo, raddrizzare o nel dubbio eliminare i latinetti (perché il latino non lo conoscete, conoscete altre cose ma il latino no, e latu sensu è sardo non latino, e per favore fumus boni iuris e non bonis), ricopiare in bella con grafia decente. Ragazzi in fin dei conti è una prova semplice, ma è una prova di nervi e di resistenza psicofisica. È un esame quasi totalmente sbagliato nella impostazione selettiva, ma vi è comunque utile come prova di nervi e di resistenza. Se non lo passate non è un dramma. Vi farete un ripasso di coscienza e comprenderete dove occorre rimediare. Oppure (ma senza eccesso di autoassoluzione) vi arrenderete all’alea che – espressione retorica scontatissima ma vera – fa parte della vita, e farà parte della vostra futura crescita professionale: forse non siete stati letti, o siete stati letti distrattamente o siete stati letti da chi di diritto ne sa meno di voi o da chi addirittura ha litigato col diritto quando era molto giovane e non ha mai più fatto pace (è raro ma ci sta anche questo). “Non passare”, comunque, è tutto tranne che un’onta. Passerete la prossima volta, rafforzati dallo studio supplementare e dalla nuova prova di nervi. Conosco attuali príncipi del foro o signori dell’accademia che non l’hanno passato la prima volta e neppure la seconda.
La terza riflessione è che io di mestiere, oltre all’avvocato, faccio il professore, e vi ho conosciuto – non voi singolarmente ma quelli come voi – quando eravate assolutamente implumi; molto tempo fa eravate poco più giovani di me e poi da me sempre più lontani per età e dunque da me sempre più decifrabili. Ho cercato di farvi capire che il diritto non è né una scienza (per carità non offendiamo Einstein) né un’arte (per carità lasciamo stare Mozart e Van Gogh); è piuttosto un complesso artigianato o se proprio volete una scienza pratica (con tutto il dovuto rispetto, noi giuristi siamo poco più che dottori commercialisti autoesaltati dalla pandettistica e da quel che ne è seguito). Rispetto ad altre attività umane, richiedenti doti in parte innate e trascendentali (la matematica, suonare il violino, danzare il Lago dei Cigni in modo da commuovere invece che far ridere, scrivere poesie che non facciano arrossire l’autore il giorno dopo), il diritto è come il golf, sia pure di alto livello, rispetto agli sport autentici. Però non trovo altro ambito che esalti di più ed in modo così avvincente le doti “normali”: l’intelligenza, l’intuito, la furbizia, la logica, la improntitudine, la capacità di convincere, né un ambito che consenta attraverso queste doti normali ed a chi le abbia esercitate nel modo più proficuo, di raggiungere risultati così immediati, concreti e gratificanti. Ecco: adesso è il momento di tirare fuori la scienza pratica, l’intelligenza applicata, la furbizia, la prontezza, l’intuito, tutto quello che fa il grande avvocato, ma anche il grande giudice, e perfino l’accademico degno di questo nome. Il resto è prevalentemente fuffa.
Ed è ovvio che dopo avervi visto implumi non potevo lasciarvi da soli nel passaggio successivo della uscita dal nido. Doppio dovere, dunque, per un professore quello di fare il commissario e, se te lo chiedono, di fare il presidente sentendosi doppiamente onorato.
P.s.: durante le correzioni e gli orali lotterò con giovani colleghi, per lo più ma non solo ricercatori universitari, i quali come si suol dire “si danno”, non rendendosi conto di sabotare il lavoro delle sottocommissioni reso più complesso della improvvida Adunanza Plenaria del Cons. di Stato che pretende la compresenza in ogni seduta delle “tre professionalità”, e di ledere così e gravemente il buon andamento della P.A.. Umanamente capisco pure i più giovani fra loro: sono in mezzo al guado nella carriera universitaria, hanno varie incombenze pressanti, solo alcuni sono più semplicemente scansafatiche. Molti però non si rendono conto che essere professore universitario non significa solo conseguire un titolo e che le migliaia di ragazzi e ragazze che ci tengono gravosamente impegnati in questi esami sono gli stessi che qualche anno prima giustificavano gli onori (se ve ne sono ancora) ed imponevano gli oneri (e ve ne sono ancora tanti) del nostro essere docenti. Ripeto: non li si può abbandonare facendo mancare loro, nelle sottocommissioni, il supporto di chi più di altri è abituato a valutare la complessiva preparazione giuridica.
Fatte le tre riflessioni, cerco di trasmettervi l’essenziale: parlo, forse troppo; sdrammatizzo il più possibile (lasciando sorridere molti e naturalmente, come ogni intrattenitore che si rispetti, lasciando altri interdetti o disgustati); giro continuamente fra i tavoli (il contapassi supera i 12 Km il primo giorno, i 10 il secondo, i 13 il terzo) per reprimere o prevenire qualche fallo da rigore prima che lo facciano i vigili (anch’essi per altro equilibrati e collaborativi), per stroncare sul nascere le solite sciocchezze solutorie d’incerta provenienza che aleggiano a dozzine, per farvi ragionare, il più possibile a gruppi o a file (tutti insieme è materialmente impossibile), e far trovare a voi stessi il modo di superare piccoli o meno piccoli inciampi; cerco soprattutto – supportato in ciò, ed anche in molto altro, da una squadra di colleghi fortunatamente esemplari – di convincervi che oggi, domani e dopodomani, siamo tutti dalla vostra parte.
Poi arrivano gli orali (dopo che siete stati corretti altrove con valutazioni sempre e per definizione opinabili ma non superabili, e puntigliose sottolineature degli elaborati con matita rossa o blu che ai miei colleghi commissari ho sconsigliato vivamente, e che alle volte mi fanno venire l’orticaria, ma il mondo è bello perché è vario).
Agli orali vi guardo in faccia e vi ascolto con più attenzione possibile. Siete quello che siete, che siamo stati, e che sempre sarete: il cialtrone, il finto ingenuo, l’autentico timido che avrebbe bisogno di una potente iniezione di fiducia prima di essere lanciato nell’agone, il saputello più o meno simpatico, l’encomiabile ed onesto diligente, l’ignorante totale (non si tratta di “bocciarlo” ma di evitargli per il momento di cacciarsi e cacciare altri nei guai), il giurista di razza dal cui sorgivo acume mi fa davvero piacere apprendere. C’è solo da essere sereni ed equanimi nei vostri confronti.
La severità malthusiana è una sciocchezza. La selezione – ancora un po’ di veridica retorica – la farà il mercato.
L’Avvocatura, che ci piaccia o no, è la chiave di volta del sistema giuridico nella sua vitale operatività.
Il mestiere di avvocato può essere disprezzato, neghittoso, routinario, nobilissimo e perfino il più divertente e appassionante fra tutti. Che se poi qualcuno di voi, dopo un po’ di proficuo esercizio forense, vorrà trovare, “all’antica”, nella politica lo sbocco naturale della propria vita e della propria passione (non imitando dunque la mia e successive generazioni, che hanno preferito curare interessi e carriere professionali abbandonando la politica ai compagni di liceo e di università sui quali non avremmo scommesso un centesimo ed ai quali oggi un centesimo di cosa pubblica neppure lontanamente affideremmo) ben venga!
A questo punto è inutile farvi ancora prediche.
A voi le scelte ed in bocca al lupo.
Antonio Briguglio
Presidente della I Sottocommissione Sessione esami 2018-2019
Avvocato del Foro di Roma
Ordinario di diritto processuale civile nella
Università di Roma Tor Vergata
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Testo Galletti |
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Benvenuto nella famiglia forense romana!
La professione forense e l’ordinamento professionale sono cambiati a seguito dell’emanazione del Nuovo Codice Deontologico, approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31 gennaio 2014, in doveroso ossequio ai principi da poco delineati dalla legge di riforma professionale n. 247 del 2012.
Col nuovo Codice Deontologico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014, è stata ribadita l’essenzialità della figura dell’Avvocato per il suo prezioso contributo nella costruzione di una società più giusta e democratica con la difesa della libertà e dei diritti di ciascuno.
Non stupisce che il nuovo Codice Deontologico ponga l’accento sulle regole di “condotta” nei rapporti tra Avvocato e Assistito unitamente a quelli con la controparte, con i Colleghi e con gli altri professionisti. Infatti, la professione di Avvocato è unanimemente considerata a tutela di un pubblico interesse e, quindi, nell’esercizio quotidiano dell’attività, l’Avvocato deve uniformarsi a ben definiti principi e norme di comportamento che valgono a rafforzare la fiducia dei consociati sulla funzione sociale svolta dall’Avvocato.
Si tratta di un cambiamento epocale, poiché, a differenza di quanto previsto dal “vecchio” codice deontologico del 1997, la disciplina deontologica è correlata a quattro sanzioni bene individuate e graduate per ciascun tipo di illecito disciplinare: l’avvertimento, la censura, la sospensione (da due mesi a cinque anni) e la radiazione.
Inoltre, in virtù di quanto disposto dall’art. 22 del Codice, è possibile sia aumentare nei casi più gravi la sanzione edittale, sia diminuirla nei casi più lievi e scusabili, ricorrendo anche eventualmente al richiamo verbale (non avente carattere disciplinare).
È stato poi istituito un nuovo organismo con il compito di amministrare la giustizia domestica in sede amministrativa, autonomo dal Consiglio dell’Ordine: il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD).
L’Ordine forense romano, attraverso una apposita Struttura consiliare, ha efficacemente affrontato un doveroso approfondimento del nuovo Codice Deontologico, provvedendo alla stesura di un “Commentario” col contributo di tanti autorevoli Autori.
Consapevole della funzione sociale dell’Avvocato e della conseguente necessità di assicurare una formazione qualificata per accrescere l’affidamento della collettività, assieme al Consiglio, abbiamo ritenuto di provvedere alla presente pubblicazione da donare a tutti i giovani Colleghi che si accingono ad indossare la nostra nobile toga e a giurare eterna fedeltà ai “doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito”. Tale azione quale naturale proseguimento di quanto iniziato dalla precedente consiliatura a partire dall’anno 2015.
Con l’augurio di un percorso professionale di successo e di soddisfazioni è utile richiamare il preambolo del nostro codice deontologico che così recita:
“L’avvocato esercita la professione in piena libertà, autonomia ed indipendenza per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento ai fini della giustizia. Nell’esercizio delle sue attività l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norme deontologiche sono quindi essenziali per la tutela dei valori”.
Il Congresso Nazionale Forense di Catania dell’ottobre 2018 ha approvato una mozione con cui si chiede al Parlamento il riconoscimento nella Costituzione della figura dell’Avvocato, quale garante dell’equo processo ed espressione del diritto inviolabile di difesa.
Da ultimo, è doveroso ringraziare tutti i Colleghi che hanno fatto parte delle varie Sottocommissioni d’esame e, in particolare, il Presidente Avv. Antonio Briguglio, l’Ispettore Ministeriale presso la Corte di Appello di Roma, Avv. Massimo Vincenti del Foro di Nola e il personale della Segreteria Ufficio Esami di Avvocato diretta dal Dott. Giacomo Strinati e composto da Concetta Di Stefano, Cristina Porcu e Raffaela Cicciarelli.
Avv. Antonino Galletti
Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma
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Testo Vincenti |
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Poter dire finalmente: “sono un avvocato!”
Ho avuto l’onore e l’onere di svolgere il ruolo di Ispettore Ministeriale per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di Roma nella sessione 2018/2019, un incarico delicato e prestigioso che mi ha arricchito molto da un punto di vista umano e professionale e che ho cercato di assolvere esclusivamente nell’adempimento di un servizio da rendere alla classe, come del resto ho sempre fatto nella mia lunga vita professionale quando sono stato chiamato a ricoprire cariche e/o incarichi.
In questa insolita veste di Ispettore Ministeriale mi è stato chiesto di scrivere una nota da inserire in un testo edito dall’Ordine degli Avvocati di Roma che sarà consegnato ai giovani colleghi che hanno superato l’esame di abilitazione.
Ho accettato con piacere ed entusiasmo, in quanto ritengo che spetta a noi “anziani” dare l’esempio ed offrire ai “giovani” la nostra esperienza di vita e professionale.
La professione di avvocato, malgrado le difficoltà che si incontrano, resta, a mio modesto avviso, una delle più belle tra tutte, una nobile professione che affonda le sue radici nella antica Roma ed è l’unica espressamente menzionata all’interno della Costituzione Italiana.
“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.
Questo dato è indice della specialità e necessarietà della professione forense e dell’elevata considerazione che i Padri Costituenti ebbero proprio per l’avvocatura.
Una professione, ripeto, costituzionalmente garantita ma che, purtroppo, sta attraversando un momento particolare e difficile anche per la grave crisi economica in cui versa il nostro Paese, che sicuramente incide sull’andamento della nostra professione, crisi che si può vincere solo con un aggiornamento costante, permanente e con le specializzazioni.
In passato, la formazione era intesa come percorso di acquisizione conoscitiva che terminava con l’ingresso nella vita lavorativa e rispetto ad essa si concepiva il mantenimento come forma di aggiornamento delle conoscenze già acquisite.
L’aggiornamento, oggi, è inteso non più come mantenimento di conoscenze già acquisite ma come processo culturale di crescita professionale.
Quindi miglioramento e perfezionamento sono i nuovi orizzonti della formazione.
Infatti è impensabile che, in una società come la nostra, impegnata nella modernizzazione si possa pensare di continuare a fare gli avvocati con le reminiscenze universitarie o quelle derivate dalla pratica forense, certo le esperienze maturate durante il percorso formativo prima negli studi professionali e poi nelle aule dei Tribunali sono fondamentali e molto importanti anzi direi importantissime, in quanto il Tribunale resta sempre la migliore palestra in cui si allena, si forma e cresce l’avvocato ma, sempre a mio modesto avviso, oggi non basta più.
Infatti l’avvocato non è più “l’azzeccagarbugli di manzoniana memoria” ma è un professionista che, per stare al passo con i tempi, deve aggiornarsi quotidianamente, deve studiare sempre, deve seguire i mutamenti giurisprudenziali, del resto oggi viviamo nell’era dell’informatica, del processo telematico, si naviga quotidianamente in internet e, quindi, ritengo che l’aggiornamento continuo sia una occasione che non possiamo assolutamente lasciarci sfuggire e va affrontato in modo giusto ed adeguato in modo tale da offrire al mercato una classe di avvocati preparata ed al passo con i tempi.
A mio avviso quel che conta oggi è la professionalità e la preparazione in qualsiasi campo.
Occorre, però, tener presente la distinzione esistente tra istruzione e formazione, tra sapere ed applicazione del sapere.
Non è sufficiente conoscere le regole generali ma occorre conoscere le tecniche per applicare le regole.
Il diritto, del resto, è una scienza e come tale deve avere teoria e pratica.
È fondamentale che un giovane avvocato per poter emergere, per crearsi un proprio spazio, per continuare a svolgere il proprio ruolo con professionalità e serenità, per battere la spietata concorrenza, debba offrire un prodotto adeguato ai tempi di oggi e bisogna, quindi, sempre studiare ed essere aggiornati in modo da arricchire quotidianamente il proprio bagaglio culturale.
Del resto, come diceva il grande Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai.
La sfida della modernità e della crisi economica che attanaglia, purtroppo, anche la classe forense si vince solo con il rilancio della qualità professionale.
A tal proposito invito i giovani colleghi a tenere sempre sulla scrivania anche il codice deontologico edito dal Consiglio Nazionale Forense, in quanto la deontologia è un elemento imprescindibile nella crescita professionale.
La deontologia professionale consiste nell’insieme delle regole fondamentali da tenere sempre presenti nell’esercizio della nostra attività, è letteralmente lo “studio del dovere”, il cosiddetto “codice etico”.
Noi avvocati, nell’esercizio della nostra professione, dobbiamo tenere un determinato codice comportamentale al fine di evitare di ledere la dignità e la credibilità del professionista.
A conclusione di questo mio piccolo contributo, colgo l’occasione per ringraziare tutti i componenti della Commissioni, abilmente coordinati dal Presidente, Avv. Prof. Antonio Briguglio, per l’ottimo lavoro svolto, un grazie per la preziosa collaborazione e per l’organizzazione al responsabile dell’Ufficio Esami, Dott. Giacomo Strinati ed a tutto il personale della Corte di Appello di Roma.
Un caro augurio di cuore, infine, a tutti i giovani colleghi che hanno superato l’esame ed ai quali do il benvenuto nel mondo forense e spero e mi auguro che queste mie considerazioni ed osservazioni possano essere di aiuto per affrontare e superare le difficoltà della vita.
Massimo Vincenti
Avvocato del Foro di Nola
Ispettore Ministeriale presso la Corte di Appello di Roma
Sessione esami 2018-2019 |
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