Il liuto, la penna, la spada
 
Autore:
Mariaelena Prinzi
Formato:
17 x 24 (cm)
Pagine:
188
Disponibilità:
SI
Prezzo:
20.00 €
 
 
Sintesi
 

La corte di Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona ospitava a Buda – secondo la testimonianza di Galeotto Marzio riportata nel suo De dictis ac factis regis Mathiae (1485) – anche «musici e cantori che nei convivi, accompagnati dal liuto, cantavano in lingua patria le gesta dei forti». Quella tradizione narrativa non solo sopravvisse alla fine dell’Ungheria corviniana, ma si evolse e si consolidò all’interno di un “genere letterario” che, collocato fra oralità e scrittura, rappresentò una sorta di contenitore formale di testi composti secondo le tecniche della oralità secondaria. Il menestrello ungherese – che non raramente partecipava alle campagne militari del suo signore – si fece litteratus. I suoi strumenti furono il liuto e la voce, la spada e la penna. I residui ambienti culturali dell’Ungheria asburgica e della Transilvania sottrattesi all’occupazione ottomana promossero le condizioni per la creazione di canti storici ispirati ai vari episodi della guerra al Turco, per la traduzione delle storie bibliche che meglio rispondevano alle istanze didattiche della Riforma protestante, per la riscrittura di importanti testi del patrimonio narrativo occidentale quali la “Griselda” di Francesco Petrarca e la Historia de duobus amantibus di Enea Silvio Piccolomini. Il probabile autore di quest’ultima, Bálint Balassi (1554-1594), anch’egli soldato e uomo di lettere, è il più importante poeta del Rinascimento ungherese e a lui si deve la ricezione del petrarchismo e del dramma pastorale. E poeta epico e uomo d’armi fu pure l’ungaro-croato Miklós Zrínyi (1620-1664), che nel suo Assedio di Sziget (1647-1648) mostra di essere epigono consapevole di Torquato Tasso e abile imitatore di Giovan Battista Marino. Nel secondo Seicento, in una Ungheria solo apparentemente non più percorsa dalla guerra, la varia fortuna della storia di Piramo e Tisbe – che culmina nel suo inserimento in un carme epitalamico di István Gyöngyösi (1629-1704) composto sulla base di una precedente, libera rielaborazione delle Etiopiche di Eliodoro – vuole essere una manifestazione pregevole del Barocco letterario danubiano

 
Autore

Amedeo Di Francesco insegna Letteratura ungherese all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Già professore ordinario di Lingua e letteratura ungherese all’Università di Napoli “L’Orientale”, è dottore h.c. delle Università di Miskolc e Debrecen e membro del Consiglio direttivo dell’Associazione Internazionale di Studi Ungheresi, di cui è stato presidente dal 1996 al 2006.

 
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